Cinque mesi dopo, un primo bilancio di #cosedagarante

Il 14 luglio 2020 il Parlamento mi ha eletto componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali e il 29 luglio, con i colleghi, Pasquale Stanzione, poi eletto Presidente, Ginevra Cerrina Feroni poi eletta vice-Presidente e Agostino Ghiglia ci siamo insediati.

Cinque mesi dopo quel giorno mi fa piacere e mi pare anche doveroso fare un primo bilancio di questa straordinaria esperienza.

Ecco le prime sensazioni, ovviamente suscettibili di revisioni e correttivi strada facendo, raccontate nella maniera più schietta e diretta possibile, senza filtri si direbbe sui social.

Il Collegio.

Sono stato fortunato.

Non conoscevo nessuno dei miei colleghi, ci siamo visti per la prima volta qualche mese fa eppure sembra si lavori insieme già da tanto con fiducia reciproca, intesa, complementarietà e un paio di obiettivi importanti comuni: far crescere l’Autorità quanto merita di crescere e proteggere la privacy di milioni di cittadini innanzitutto con buon senso e determinazione senza per questo trasformarci in castigatori di imprese e amministrazioni, convinti come siamo che educare alla privacy sia sempre meglio che sanzionare.

Gli uffici dell’Autorità.

L’ho già scritto e non vorrei diventare monotono: poco più di un centinaio di persone con competenze fuori dal comune e con una enorme esperienza nel settore di riferimento ma, soprattutto, con uno spirito di appartenenza all’Autorità degno di quello che i giocatori della nazionale hanno alla maglia azzurra.

Ovviamente competenze eccelse significa anche personalità molto forti e chi si intende di scienza dell’organizzazione sa che le piccole squadre con un’alta concentrazione di talenti possono dare grandi soddisfazioni ma inesorabilmente sono più difficili da schierare in campo e far giocare di grandi squadre o squadre mediocri.

Ma anche da questo punto di vista mi sento davvero fortuato.

In cinque mesi ho imparato moltissimo in una materia che pratico da ventitre anni e insegno più o meno da altrettanti.

Qualcosa vorrà dire.

La mia segreteria: Michela Massimi, Guido D’Ippolito, Eduardo Meligrana.

Ogni parola in più su di loro trasformerebbe questo post in un polpettone cinematografico sdolcinato.

Me li sono scelti e, quindi, è banale dire che credo che siano il miglior team possibile con il quale giocare questa partita.

Ho già scritto che quello che ho fatto e che farò di buono è e sarà merito loro. Gli errori, tutti inesorabilmente miei.

E veniamo alle poche convinzioni già maturate.

La prima.

Per proteggere e promuovere in maniera efficace la privacy dobbiamo stare in mezzo alla società, dobbiamo passare meno tempo possibile a discutere tra di noi chiusi nel Palazzo e più tempo possibile in mezzo alla gente, le imprese e le Istituzioni.

Se non diffondiamo nel Paese, a ogni livello, un’adeguata cultura della privacy abbiamo perso in partenza.

Non saranno le sanzioni milionarie a consentirci di far bene il nostro lavoro e di veder affermato il diritto che siamo chiamati a promuovere e proteggere.

È per questo che, non senza attirarmi le critiche di taluno [poche per la verità ma non per questo meno importanti], dal primo giorno, ho messo la comunicazione al centro del mio mandato e ho promosso alcune iniziative come #cosedagarante, privacy daily, la partecipazione al legal hackathon per la semplificazione delle informative privacy, la richiesta di aiuto alla divulgazione su sexting e dintorni rivolta agli Youtuber.

Ma siamo solo all’inizio.

La seconda.

Cento venti persone e poco più di trenta milioni di euro all’anno a qualcuno potranno sembrare tanti ma non bastano per i compiti che la legge attribuisce a questa Autorità e non ho mai amato chi dice armiamoci e partite.

Non si può affidare a qualcuno un compito democraticamente tanto delicato e complesso e poi non fornirgli i mezzi per perseguirlo in maniera efficace.

Lo scrivo senza peli sulla penna.

Il Governo con la legge di bilancio appena varata ci ha attribuito maggiori risorse per circa quattro milioni di euro che ci consentiranno di completare il nostro organico e arrivare a circa 160 persone.

Un segnale importante che merita un ringraziamento.

Ma serve di più se si vuole porre questa Autorità in condizione di indirizzare, regolamentare e vigilare fenomeni pubblici e privati in rapidissima evoluzione rispetto alla quale la pandemia ha determinato un’accelerazione senza precedenti: la trasformazione digitale della Pubblica Amministrazione e quella del Paese in tutte le sue altre componenti, l’intelligenza artificiale, il sistema delle comunicazioni elettroniche, il cloud, l’internet delle cose che avanza e che solo in questo specialissimo Natale ha portato nelle nostre case milioni di oggetti connessi che vivono utilizzando dati personali.

La terza.

Devo moltissimo a una comunità straordinaria di amici, colleghi, conoscenti che quotidianamente non manca di inviarmi stimoli, proposte, osservazioni e critiche che mi aiutano, giorno dopo giorni, a mettere a fuoco problemi che, sin qui, non avevo identificato.

Grazie davvero a tutti.

La quarta.

Giudicare, decidere, valutare chi ha ragione e chi ha torto, se una certa sanzione è troppo alta o troppo bassa, se una violazione c’è stata oppure no è, il più delle volte – anche nelle vicende che sembrano poco rilevanti – maledettamente difficile.

Si sbaglia, temo sia inevitabile.

Sono certo – anche se non so dove – di aver già commesso degli errori e, purtroppo, temo tornerò a commetterli.

Ce la stiamo mettendo tutta per far bene, per studiare, per non lasciar nulla al caso e, ovviamente, per essere sempre trasparenti, corretti, onesti.

Ma non basta e mi dispiace.

Continuate a segnalarmi quelli che ritenete essere gli errori che commetto, che commettiamo e proverò, ma son certo di poter dire proveremo, a far meglio.

La quinta e ultima.

Credo da sempre nella trasparenza come strumento di buona amministrazione: se si lavora a una scrivania con due bandiere e la foto del Presidente della Repubblica alle spalle si lavora per il Paese e si deve render conto a tutti, sempre e su tutto.

La trasparenza assoluta temo non esista o, almeno, sia difficile da garantire.

Trovate, comunque, a questo link un’infografica con qualche informazione di sintesi su questi primi cinque mesi.

Nei mesi che verranno faremo meglio e condivideremo più dati e più informazioni.

Ora, semplicemente, buon 2021 con l’augurio – sulla carta accessibile – che sia migliore dell’orribile 2020 che ci lasciamo alle spalle.

CommonPass, un passaporto digitale per tornare alla normalità. Ma occhio ai diritti.

by with Commenti disabilitati su CommonPass, un passaporto digitale per tornare alla normalità. Ma occhio ai diritti.

I vaccini sono arrivati o, almeno, stanno arrivando in Italia, in Europa e nel resto del mondo.

E sarà perché siamo al 31 dicembre ma ci fanno sperare che la normalità sia vicina.

Per dar forma a questa speranza, in giro per il mondo, si moltiplicano le app che promettono di chiudere nello smartphone la prova della circostanza che ci siamo vaccinati o che abbiamo fatto con successo un test.

Tecnologicamente sono buone idee ma attenzione ai diritti.

Una delle più promettenti app del momento in questo settore si chiama CommonPass è l’ha sviluppata Thecommonproject un trust non profit svizzero che ha messo attorno allo stesso tavolo alcune tra le menti più brillanti nell’universo delle nuove tecnologie con un obiettivo straordinario e prezioso: mettere la tecnologia al servizio del mondo per rendere i benefici che può produrre patrimonio comune dell’umanità.

L’app in questione non delude le attese ed è straordinariamente semplice da usare, ha un’interfaccia che fa impallidire le migliori app commerciali e promette – e c’è da crederci – di essere ultra rispettosa, nei profili tecnici, della privacy degli utenti.

L’idea che sta alla sua base è semplicissima: tradurre l’informazione sullo stato vaccinale dell’utente in un QR-code e renderla leggibile attraverso un comune lettore a infrarossi proprio come accade per qualsiasi codice a barre o per i QR-code già presenti sulle carte d’imbarco delle compagnie aeree.

Il caso d’uso sotteso alla progettazione, allo sviluppo ed alla diffusione dell’app è altrettanto semplice: a mano mano che i vaccini si diffondono potrebbe essere necessario distinguere chi è vaccinato da chi non è vaccinato per garantire ai primi la fruizione a taluni servizi o l’accesso a taluni locali.

Ed è qui che la questione da semplice si fa complicata.

Ci sono tanti possibili approcci al problema: quello politico, quello costituzionale, quello etico o quello di protezione dei dati personali.

Qui, per ora, mi limito a poche considerazioni sintetiche che forse meritano di essere approfondite, su quest’ultimo profilo, considerazioni che, naturalmente, non riguardano solo CommonPass ma tutti i passaporti vaccinali digitali e non dei quali si discute.

Per l’approccio costituzionale rimando a un bell’articolo pubblicato oggi su il Dubbio dalla mia collega Ginevra Cerrina Feroni.

Lo stato vaccinale è, naturalmente, un dato particolare, uno di quelli che una volta si chiamavano dati sensibili.

La prima conseguenza che mi pare opportuno tenere a mente è, dunque, che perché questi passaporti possano essere usati per distinguere tra chi ha accesso e chi non ha accesso a un luogo – pubblico ovviamente – o a un servizio serve una legge perché il fornitore del servizio non potrebbe, diversamente, trattare i dati particolari dei suoi utenti.

Certo, in astratto, potrebbe chiedere loro il consenso ma non potrebbe poi vietare a chi non prestasse il consenso che, per sua natura deve essere libero, di salire su un aereo, tanto per fare un esempio perché altrimenti quel consenso cesserebbe di essere libero.

La seconda conseguenza è che la legge in questione, che evidentemente dovrebbe rispettare la disciplina europea in materia di dati personali, potrebbe imporre ai fornitori di servizi di fornire il servizio solo agli utenti vaccinati solo se il trattamento di dati personali sotteso a quest’obbligo fosse proporzionato alla finalità perseguita.

E mentre questo sembra semplice se un Paese optasse per un regime di vaccini obbligatori, per un Paese che optasse per un regime di vaccini facoltativi, dimostrare questa esigenza potrebbe essere più complicato: come giustificare un trattamento di dati che produce un pregiudizio per un cittadino che, pure, ha semplicemente esercitato una libertà a lui riconosciuta dalla legge, scegliendo di non vaccinarsi?

Ovviamente stiamo parlando di una legge che prevedesse un generale divieto di accesso o fruizione di servizi ai cittadini non vaccinati e non a di una legge che imponesse un obbligo di vaccino selettivo per talune ipotesi limitate e poi lo presidiasse con un divieto di accesso o fruizione del servizio per chi essendovi tenuto non si fosse vaccinato.

Ma dettagli tecnici a parte, il punto, a me pare che sia che per tante diverse ragioni il mondo non è pronto a essere diviso tra cittadini vaccinati e cittadini non vaccinati e a veder riconosciuto ai primi l’esercizio di diritti e libertà negati ai secondi.

E non lo sarà almeno fino a quando, a tutti, ma davvero a tutti, non verrà riconosciuto almeno il diritto alla vaccinazione.

Il giorno dopo i problemi non saranno tutti risolti ma l’idea potrebbe essere riconsiderata. Ma quel giorno, purtroppo, è ancora lontano.

Che ne pensate? Un tema decisamente scottante con il quale chiudere l’anno e aprire il prossimo.

Privacy Daily – 31 dicembre 2020

Somalia, la scarsa attenzione alla privacy può costare la vita

La pandemia ha accelerato la trasformazione digitale anche nei Paesi in via di sviluppo ma troppo spesso si presta troppa poca attenzione alla privacy.

Ora gli operatori umanitari in Somalia lanciano l’allarme. “È estremamente pericoloso se i dati [ndr in particolare quelli dei servizi di pagamento elettronico] vengono persi o cadono nelle mani sbagliate”.

“Di recente abbiamo visto persone che sono state uccise dopo che le loro informazioni personali sono trapelate. È una questione di vita o di morte” dice Abdifatah Hassan, direttore di Digital Shelter a Mogadiscio.

https://www.theguardian.com/global-development/2020/dec/30/poor-data-protection-could-put-lives-at-risk-say-somalia-aid-workers


I dati di geolocalizzazione sono gli eredi dei cookies

Blue tone city scape and network connection concept , Map pin business district

Mentre è guerra aperta tra Facebook e Apple sulle soluzioni di profilazione degli utenti per finalità di marketing, all’orizzonte si profila un contesto nel quale i famigerati cookies saranno rimpiazzati dai dati di geolocalizzazione degli utenti destinati a essere utilizzati per le stesse finalità.

https://www.geospatialworld.net/blogs/the-coming-war-over-location-data-and-data-privacy/


L’auto ti guarda: cosa sanno i nostri autoveicoli di noi

Non sono più gli smartphone i maggiori ricettacoli di dati personali ma le automobili, destinate a raccogliere sempre più dati utilizzabili per finalità diverse.

https://www.komando.com/security-privacy/what-your-vehicle-knows-about-you/771471/

Riconoscimento facciale, un altro innocente in galera (anche se per dieci giorni)

by with Commenti disabilitati su Riconoscimento facciale, un altro innocente in galera (anche se per dieci giorni)

È successo di nuovo. Un sistema di riconoscimento facciale della Clearview utilizzato dalla polizia di Detroit ha riconosciuto un innocente come colpevole e lo ha spedito in galera.

L’ultima, purtroppo, di tante storie drammaticamente eguali l’una all’altra arriva da Detroit.

C’è un furto nel bar di un hotel: caramelle e snack il bottino.

Il ladro fugge, la polizia lo insegue in auto, si arriva quasi a uno scontro ma poi il malvivente – se così può definirsi chi non aveva pagato il conto di un qualche patatina e un sacchetto di caramelle – si dilegua.

La polizia da in pasto al sistema di riconoscimento facciale progettato, prodotto e gestito dall’americana Clearview alcune immagini del ladro e il sistema non ha dubbi, si tratta di NiJeer Parks, per sua sfortuna un pregiudicato.

Viene spiccato un mandato di arresto e Parks che con questa storia non c’entrava nulla si presenta al posto di polizia per chiarire la cosa.

Ma la polizia ha pochi dubbi, lo ammanetta, lo interroga per ore, lo da in pasto all’accusa che gli offre un patteggiamento a sei anni di prigione se non vuole rischiarne venti andando a processo.

La prova della sua colpevolezza? Solo e semplicemente il riconoscimento facciale della Clearview.

Parks prova a far presente che lui in quell’hotel non c’è mai stato, che non ha una macchina e che non la sa neppure guidare con la conseguenza che non può essere stato il protagonista della fuga seguita al furto.

Ma non c’è niente da fare.

Il riconoscimento facciale non mente.

Per Parks si aprono le porte della prigione.

Per fortuna il Giudice si rifiuta di procedere sulla base di una prova rappresentata esclusivamente dal riconoscimento operato dal sistema di intelligenza artificiale della Clearview e la procura, che non ha altre prove, è costretta a rinunciare alle accuse.

Parks è libero ma si è fatto dieci giorni di galera, si è giocato i suoi risparmi per pagarsi l’avvocato e deve ricominciare di nuovo daccapo a ricostruirsi un briciolo di credibilità.

La storia di originale ha poco.

E’ già successo altre volte.

Ma due lezioni ce le consegna.

La prima è che quando una tecnologia come quella di riconoscimento facciale inizia a essere usata, magari per assicurare alla giustizia – o almeno provarci – pericolosi terroristi, poi resistere alla tentazione di usarla anche per riconoscere un ladro di patatine e caramelle è dura davvero.

Ma naturalmente, forse – e dico forse – la lotta al terrorismo consente l’assunzione di taluni rischi di errore ma quella ai furti di caramelle no.

La seconda è che per quanto si possa dire – come la Polizia di Detroit, ad esempio, dice e scrive da tempo – che si tratta solo di tecnologie di ausilio all’attività umana, poi, quando si è li e un sistema di riconoscimento facciale artificialmente intelligente ti dice che tizio e colpevole, dire che non lo è, persino quando tutto ti porterebbe a questa conclusione è difficile per davvero.

Intelligenza artificiale e riconoscimento facciale sono un mix tecnologico da maneggiare con grande prudenza.

Domani, magari, potranno esserci utili per davvero ma, allo stato, tutto, ma proprio tutto, suggerisce che non sia ancora arrivato il loro momento.

Privacy Daily – 30 dicembre 2020

Il ruolo crescente dell’Irlanda come hub globale di dati

L’Irlanda si prepara, vuole cogliere la sfida di diventare il punto di riferimento mondiale in fatto di dati. Il rafforzamento del National Cyber Crime Bureau si colloca in tale prospettiva.

https://www.thejournal.ie/readme/data-security-misinformation-5304795-Dec2020/


I passaporti sanitari digitali sono una buona idea?

Il lancio dei primi lotti di vaccini COVID-19 in Gran Bretagna e negli Stati Uniti ha riacceso il dibattito sul possibile utilizzo dei passaporti sanitari digitali per allentare i blocchi che paralizzano l’economia globale.

https://news.trust.org/item/20201221125814-sv8ea/


Cinque minacce ai diritti digitali in Africa

Dal 2010 l’accesso a Internet è migliorato in quasi tutti i 54 paesi africani, secondo il rapporto 2020 della Mo Ibrahim Foundation sulla governance africana. Ma dai blackout di Internet alle app di tracciamento, i diritti digitali in tutta l’Africa sono stati esposti NEL 2020 a maggiori minacce rispetto al passato.

https://news.trust.org/item/20201222105615-l1y43/

Google Trends racconta il nostro 2020

Google ha appena pubblicato l’elenco delle ricerche più gettonate del 2020 in Italia come nel resto del mondo.

Con un Paese che la pandemia ha, ormai, reso più digitale di sempre quello che esce dall’elenco delle ricerche più lanciate su Google nel corso del 2020 è uno spaccato che racconta davvero tanto di noi.

Senza nessuna sorpresa, a tenere banco, è stato ovviamente il Covid.

Coranavirus, contagi e protezione civile sono tra le dieci parole più ricercate dagli italiani su Google e, quindi, online nei dodici mesi appena trascorsi.

Ma sono riconducibili alla pandemia anche la più parte delle altre parole nella top ten: nuovo DPCM, weschool, classroom, meet.

Poche le eccezioni tra le magnifiche dieci: pandemia a parte, sostanzialmente, c’è spazio solo per elezioni americane e per la morte di Diego Armando Maradona.

Tutto il resto è noia come canterebbe Franco Califano.

Tra le dieci persone più googlate dagli italiani in questo stranissimo 2020 solo tre italiani.

Sono il Presidente del Consiglio Giuseppe Conte, Alex Zanardi e Silvia Romano la venticinquenne milanese rilasciata a 18 mesi dal rapimento in Kenya.

Nel 2020 gli italiani hanno chiesto a Google più di ogni altra cosa come fare il pane, come produrre in casa amuchina e mascherine, come fare il tampone e richiedere SPID, l’identità digitale pubblica e poi la pizza, il lievito di birra e il lievito madre.

Insomma la pandemia sempre protagonista, la cucina al centro dei nostri pensieri e una spruzzata di digitale.

Tra i perché chiesti a Google da più italiani, quello più originale è perché le scope stanno in piedi, una curiosità che per essere finita al terzo posto tra quelle più richieste deve avere interessato un numero non comune di utenti tricolori.

Più scontati gli altri perché.

Perché votare si o perché votare no al referendum o, piuttosto, perché il coronavirus si chiama così.

Nessuna sorpresa, invece, tra gli eventi più ricercati: la seria A di calcio, il Festival di Sanremo e le elezioni USA.

Pane, pizza e cornetti le ricette più gettonate.

Per saperne di più sulle nostre ricerche del 2020, basta cliccare qui.

Privacy Daily – 29 dicembre 2020

L’omicida più noto nella storia recente d’Irlanda fa appello alla privacy

Graham Dwyer, autore di un delitto quasi perfetto e condannato all’ergastolo anche grazie ai dati acquisiti dal suo operatore telefonico sostiene che l’uso di tali dati sarebbe avvenuto in violazione della disciplina europea in materia di data retention e chiede di essere assolto. La decisione ora tocca alla Corte di Giustizia alla quale i Giudici irlandesi hanno rimesso la questione in via pregiudiziale.

https://www.theguardian.com/world/2020/dec/28/irish-murderer-appeals-conviction-on-grounds-of-eu-data-law-breach


La lettera aperta di Edward Snowden

A sette anni dallo scoppio dello scandalo, Snowden invita a guardare ai cambiamenti in atto. Leggi come l’USA Freedom Act hanno iniziato a porre un freno alla sorveglianza di massa. “Possiamo riparare un sistema rotto” ha scritto Snowden in una lettera aperta da leggere sul sito della Electronic Frontier Foundation

https://www.eff.org/deeplinks/2020/12/we-can-fix-broken-system


Brexit: l’Information Commissioner’s Office (ICO) interviene sul flusso di dati tra UE e Regno Unito

Il Garante per la privacy del Regno Unito raccomanda di adottare immediatamente soluzioni alternative sui trasferimenti di dati tra UE e il Regno Unito. Concordato un periodo provvisorio di sei mesi fino ad un nuovo, separato accordo.

https://ico.org.uk/about-the-ico/news-and-events/news-and-blogs/2020/12/ico-statement-in-response-to-uk-governments-announcement-on-the-extended-period-for-personal-data-flows-that-will-allow-time-to-complete-the-adequacy-process/?utm_source=hootsuite&utm_medium=&utm_term=&utm_content=&utm_campaign=

#cosedagarante – L’Agenda della settimana (28 dicembre – 3 gennaio)

A cavallo tra Natale e Capodanno la settimana è corta e diversa dalle altre.

Ma non c’è il rischio di annoiarsi se ti piace quello che fai.

Questa mattina abbiamo lanciato una nuova iniziativa di #cosedagarante: si chiama #privacydaily e si tratta semplicemente di un format agile di aggiornamento quotidiano su quello che accade in materia di privacy e dintorni nel mondo.

Ogni giorno un titolo, un breve abstract e un link a una notizia pubblicata sui media internazionali.

Oggi pomeriggio, alle 17, parteciperò al premio dell’Associazione protezione diritti e libertà privacy durante il quale la “Pergamena2020” verrà attribuita a due persone a me molto care e alle quali devo molto: Francesco Pizzetti e Antonello Soro, entrambi ex Presidenti del Collegio del Garante del quale, oggi, ho il privilegio di essere componente.

Il resto della settimana sarà dedicato alla redazione di una breve infografica da pubblicare nei prossimi giorni per riassumere fatti e attività più salienti di questi primi cinque mesi al Garante, alla rielaborazione della tempesta di idee raccolte durante il legal hackathon di qualche settimana fa e a cominciare a organizzare i primi stimoli raccolti in una serie di incontri a margine della consultazione pubblica sulle nuove linee guida sui cookie.

Il tempo che avanza sarà dedicato a impostare l’attività 2021, nella sostanza, il primo vero anno di attività da componente del Collegio e, al momento, il problema è che le idee delle cose che si potrebbero fare sembrano nettamente superiori al tempo per farle.

Urge una selezione tra idee migliori, idee peggiori e idee da scartare.

Ma se avete in mente idee che vi sembrano quello giuste, in particolare, per promuovere la cultura della privacy, non siate timidi e scrivetemi.

Privacy Daily | 28 dicembre 2020

Per non perdere mai di vista il contesto nel quale lavoriamo, provare – perché riuscirci è un’altra storia – a essere sul pezzo e conoscere i fenomeni che ci troviamo e troveremo a affrontare nell’immediato futuro e più semplicemente, perché non si può proteggere la privacy né promuovere la circolazione sostenibile dei dati personali senza conoscere il mercato e la società, ogni mattina, le nostre giornate iniziano leggendo, leggendo e ancora leggendo quello che succede in giro per il mondo a proposito di privacy e dintorni.

E’ un esercizio prezioso e, anzi, indispensabile per noi ma che, forse, può essere utile anche a chi si occupa della stessa materia.

Per questo, da oggi, tutti i giorni, tra le sette e le dieci – magari prima o poi riusciremo a essere più precisi di così e anche a arrivare prima – pubblicheremo “Privacy daily”, tre titoli, tre mini-riassunti, tre link su tre notizie che ci hanno colpito più delle altre e che, il più delle volte, rimbalzeranno dai media internazionali.

Nessuna attenzione alla forma, nessuna pretesa di ricercatezza editoriale ma solo la volontà di condividere un lavoro che, nascendo nel pubblico, mi pare giusto sia patrimonio comune.

Nessuna newsletter, nessun link a cui iscriversi, tutto semplicemente condiviso via social.

Grazie, come sempre, a tutta la mia segreteria per rendere possibile anche questa iniziativa e un grazie speciale a Eduardo Meligrana che si sobbarcherà la parte più pesante del lavoro.


La fotografia della pandemia: le restrizioni dell’amministrazione Trump

Il governo degli Stati Uniti ha rafforzato le restrizioni sui media negli ospedali, riducendo il flusso di immagini della pandemia. Le nuove linee guida hanno reso estremamente difficile autorizzare l’ingresso di fotografi e giornalisti.

https://theintercept.com/2020/12/27/covid-photography-hospitals/

Con la Brexit la privacy cambia direzione nel Regno Unito

Le conseguenze della Brexit nel Regno Unito. Secondo un rapporto di Reuters, Facebook sta facendo uscire i suoi utenti britannici dalla stretta protezione della privacy dell’Unione Europea e li porterà sotto l’egida della sua sede centrale in California.

https://www.theguardian.com/technology/2020/dec/15/facebook-move-uk-users-california-eu-privacy-laws

Taiwan vuole creare una Autorità indipendente sulla privacy dei cittadini

Taiwan vuole creare una propria autorità indipendente per la privacy per affrontare il nodo della sorveglianza sui dati in tempo di pandemia, ha fatto sapere il ministro per il Digitale Audrey Tang.

https://apnews.com/article/cabinets-open-government-coronavirus-pandemic-asia-tsai-ing-wen-7f95d15a914015f150b8aafc2837920d

È nato Yauped, il socialnetwork virtuoso. O almeno così dice

E’ arrivato, anche se non ancora in Italia, Yauped, un social network nuovo di zecca che promette di non essere come gli altri e di rispettarci di più.

Sarà vero?

Io non sono come loro.

Dove loro sono i social network più popolari del web da Facebook a Twitter, passando per Tik Tok, Instagram e gli altri giganti.

È questa la promessa, per la verità un po’ ambiziosa e arrogante con la quale Yauped si è appena affacciato sul mercato dei social network e invita alla prova gli utenti dei Paesi nei quali è già sbarcato.

“Yauped è una nuova e divertente app per social media – dice il claim pubblicitario – che ti libera dai pericoli di tutte le altre piattaforme tecnologiche che contano. La tua esperienza su Yauped include tutte le funzionalità che hai imparato a conoscere con la tua esperienza quotidiana sui social media, inclusi profili, gruppi, eventi, Marketplace, funzionalità di chat e molto altro ancora.”

E poi i creatori di Yauped affondano.

“Parla liberamente ed esprimiti apertamente, senza paura di essere buttato fuori per le tue opinioni. Entra in contatto con amici, familiari, colleghi e persone che condividono i tuoi stessi interessi. Yauped ti consente di comunicare in privato, guardare i tuoi contenuti preferiti, acquistare e vendere articoli o trascorrere del tempo condividendo le tue esperienze di vita.”

Fino a arrivare al cuore della proposizione commerciale con la quale la nuova app sembra intenzionata a sbaragliare la concorrenza.

“Yauped protegge i diritti e la privacy dei membri della nostra comunità. Yauped crede che le persone abbiano diritto alla sicurezza, alla privacy, alla libertà di parola e alla libertà di espressione. Tutti i dati personali vengono mantenuti riservati e non vengono mai venduti a terzi.”

Parola più parola meno è così che l’ultimo arrivato nell’affollato universo dei social media si presenta al suo pubblico e prova a conquistarlo.

Confesso che istintivamente dubito di chi presenta dichiarandosi migliore di qualcun altro e non mi piace chi punta l’indice contro i concorrenti additandoli, poco conta se a torto o a ragione, come irrispettosi della privacy altrui e liberticida.

Ma, al tempo stesso, credo sia un bell’esperimento sociale stare a guardare quanto il presentarsi al pubblico come un social network più rispettoso della privacy e della libertà di espressione susciterà un interesse reale degli utenti.

Siamo disposti a investire un po’ del nostro tempo, anche solo per provare Yauped, nella speranza che sia effettivamente e per davvero più rispettoso di noi?

Chissà.

Io qualche dubbio ce l’ho ma, naturalmente, mi auguro di essere smentito dai numeri degli utenti che saliranno su Yauped nelle prossime settimane.

Se ce ne importa abbastanza della nostra privacy e delle nostre libertà, probabilmente, Yauped merita un’occhiata, anche solo per arrivare alla conclusione che, magari, non è poi così diverso dagli altri.

Ne riparliamo tra qualche settimana quando dovrebbe sbarcare anche negli store italiani?

Frattanto se ne sentite parlare o se vivete in un Paese nel quale Yauped è già arrivato mi segnalate qui sotto cosa vi convince di più, cosa di meno e cosa, eventualmente, non vi convince affatto?