Privacy Daily

PRIVACY DAILY 43/2023

La Corte Suprema degli Stati Uniti potrebbe rivoluzionare il funzionamento delle piattaforme online. Il 21 febbraio, infatti, verrà discussa la causa Gonzalez v. Google, in cui si pronuncerà sugli “algoritmi di raccomandazione”, vale a dire il meccanismo che ordina la maggior parte dei contenuti online e determina la priorità dei post, delle notizie e degli account sulle piattaforme digitali. Il caso di specie ha ad oggetto delle accuse di presunta violazione dell’Anti-Terrorism Act commesse da Google, per via della raccomandazione di contenuti dell’ISIS da parte degli algoritmi di YouTube. Entra, così, in gioco la Sezione 230 del Titolo 47 dell’U.S. Code, cioè il fondamento giuridico su cui, per decenni, tutte le grandi aziende di Internet con contenuti generati dagli utenti hanno costruito le loro policy e le loro attività. In particolare, la Corte Suprema è chiamata a sciogliere la seguente questione: raccomandare un contenuto equivale a mostrarlo? Per rispondere al non facile quesito i giudici dovranno stabilire dove cade la linea di demarcazione tra l’hosting di contenuti e gli algoritmi di raccomandazione, che li ordinano in base alla cronologia, alla posizione geografica o ad altri criteri. In poche parole, vengono messi in discussione gli algoritmi che gestiscono la visualizzazione della maggior parte dei contenuti. Se la Sezione 230 venisse abrogata o ampiamente reinterpretata, le Big Tech potrebbero essere costrette a trasformare non solo il loro approccio alla moderazione dei contenuti, ma tutta l’architettura delle piattaforme. Alcuni esperti sostengono che i danni inflitti dagli algoritmi agli individui e alla società hanno raggiunto un livello inaccettabile e che, sebbene sarebbe preferibile un intervento legislativo, la Corte Suprema potrebbe cogliere questa opportunità per cambiare le regole su Internet, intaccando uno degli elementi di base del c.d. “capitalismo della sorveglianza”.

L’Austria vuole facilitare l’accesso ai dati sanitari dei pazienti. Dopo l’introduzione del Gesundheitsakte (versione austriaca del fascicolo sanitario elettronico) e del passaporto vaccinale sullo smartphone, il Ministro della Salute Johannes Rauch vuole intraprendere questo passo ulteriore con l’obiettivo di migliorare l’assistenza ai pazienti e di favorire un risparmio per l’Amministrazione. Al momento, l’Austria è alle prese con una serie di problemi relativi alle diverse modalità registrazione dei dati dei pazienti da parte di ospedali, medici di base e assicurazioni sociali. Nei piani del Ministro Rauch c’è, pertanto, il superamento di quest’impasse attraverso un miglioramento dell’accesso alle diagnosi e ai farmaci prescritti, seguendo il modello di digitalizzazione già applicato dalla Finlandia. “Ogni austriaco dovrebbe avere una panoramica dei propri dati sanitari premendo un pulsante” ha affermato il Sottosegretario alla Digitalizzazione, Florian Tursky, aggiungendo che occorre eliminare “i doppioni nel sistema sanitario” e “ridurre l’onere amministrativo per i medici”. Questo proposito ha, però, incontrato qualche preoccupazione da parte degli attivisti per la protezione dei dati personali che hanno sottolineato la particolare natura dei dati sanitari e delle conseguenze negative nel caso in cui “finiscano nelle mani sbagliate”. Gli attivisti rivendicano inoltre che i pazienti dovrebbero “poter decidere autonomamente e in qualsiasi momento con chi condividere i propri dati sanitari e per quanto tempo le istituzioni sanitarie interessate potranno accedervi”.

La Munster Technological University (MTU) si prepara a riaprire dopo il pesante attacco hacker subito. Il personale e gli studenti sono stati esortati a essere vigili dopo l’accesso abusivo ai dati contenuti nei suoi sistemi informatici, che sono stati poi copiati e condivisi sul dark web. Intanto, l’MTU sta collaborando con il National Cyber Security Centre per indagare sull’attacco, che si ritiene sia stato condotto da un collettivo di hacker con sede in Russia noto come Blackcat o APLHV. Ancora non è chiaro quali informazioni siano state diffuse, secondo il direttore del National Cyber Security Centre, Richard Browne. “Purtroppo è una conseguenza di ciò che accade in questi casi”, ha dichiarato, aggiungendo che: “gli aggressori hanno fatto quello che dovevano fare. Si tratta di un gruppo estremamente prolifico”. Anche la Data Protection Commission è stata informata della violazione. Agli studenti e al personale è stato peraltro raccomandato di prestare attenzione a potenziali attacchi via e-mail o SMS. Perfino la Student Union (il sindacato studentesco) dell’Università ha condiviso informazioni su come riconoscere una “e-mail di phishing” o, comunque, quando un’e-mail contiene link dannosi.

English version

The US Supreme Court could revolutionise the functioning of online platforms. On 21 February, in fact, the case Gonzalez v. Google will be discussed, in which it will rule on ‘recommendation algorithms’, i.e. the mechanism that orders most online content and determines the priority of posts, news items and accounts on digital platforms. The present case concerns allegations of an alleged violation of the Anti-Terrorism Act committed by Google, due to the recommendation of ISIS content by YouTube’s algorithms. Thus, Section 230 of Title 47 of the U.S. Code comes into play, i.e. the legal foundation on which, for decades, all large Internet companies with user-generated content have built their policies and activities. In particular, the Supreme Court is called upon to resolve the following question: does recommending content amount to showing it? To answer this not easy question, the judges will have to determine where the dividing line between hosting content and recommending algorithms, which sort them according to chronology, geographical location or other criteria, falls. In short, the algorithms that manage the display of most content are called into question. If Section 230 is repealed or widely reinterpreted, Big Tech could be forced to transform not only their approach to content moderation, but the entire architecture of the platforms. Some experts argue that the damage inflicted by algorithms on individuals and society has reached an unacceptable level and that, although legislative intervention would be preferable, the Supreme Court could seize this opportunity to change the rules on the Internet, eroding one of the basic elements of so-called ‘surveillance capitalism’.

Austria wants to facilitate access to patients’ health data. After the introduction of the Gesundheitsakte (Austria’s version of the electronic health record) and the vaccination passport on the smartphone, Health Minister Johannes Rauch wants to take this further step with the aim of improving patient care and saving the administration money. At the moment, Austria is grappling with a number of problems relating to different ways of recording patient data by hospitals, general practitioners and social insurance companies. In Minister Rauch’s plans, therefore, is to overcome this impasse by improving access to diagnoses and prescribed drugs, following the digitisation model already applied by Finland. “Every Austrian should have an overview of their health data at the push of a button,” said the Undersecretary for Digitalisation, Florian Tursky, adding that “duplication in the health system” should be eliminated and “the administrative burden on doctors should be reduced”. This has, however, met with some concern from data protection activists, who have emphasised the special nature of health data and the negative consequences if they ‘fall into the wrong hands’. The activists also claim that patients should ‘be able to decide for themselves at any time with whom they want to share their health data and for how long the health institutions concerned will have access to it’.

Munster Technological University (MTU) is preparing to reopen after the heavy hacking attack it suffered. Staff and students have been urged to be vigilant after data was ‘accessed and copied’ from its computer systems during the attack and shared on the dark web. Meanwhile, MTU is working with the National Cyber Security Centre to investigate the attack, which is believed to have been conducted by a Russian-based hacker collective known as Blackcat or APLHV. It is still unclear what information was leaked, according to National Cyber Security Centre director Richard Browne. “Unfortunately it is a consequence of what happens in these cases,” he said, adding that: “the attackers did what they had to do. This is an extremely prolific group”. The Data Protection Commission was also informed of the breach. Students and staff were also advised to watch out for potential attacks via e-mail or SMS. Even the university’s Student Union has shared information on how to recognise a ‘phishing e-mail’ or, in any case, when an e-mail contains malicious links.