Privacy Daily

PRIVACY DAILY 33/2023

Il settore automotive chiede una legislazione che regoli l’accesso ai dati prodotti dai veicoli. Così si è espresso un gruppo di dieci associazioni del comparto automobilistico rivolgendosi alla Commissione Europea e alla sua presidente Ursula von der Leyen. Tra i firmatari della lettera ci sono l’Aci, l’Aniasa (rappresentante delle società di noleggio), la Fia (autrice della campagna “My car, my data”), Assogomma, Adira (distributori di ricambi), Aica (costruttori di attrezzature) e Federpneus. In particolare, le associazioni dell’automotive ricordano che i dati dei veicoli non includono soltanto quelli operativi (come velocità, posizione, manutenzione o chilometraggio), ma anche quelli inerenti al comportamento del conducente (ad esempio, distanze percorse, stile di guida, dettagli personali come nome, recapiti, informazioni finanziarie), condivisi tra l’altro con il sistema operativo del veicolo. Già nel dicembre 2020 la Commissione europea si era impegnata a predisporre una proposta legislativa in materia, fissando la scadenza ad un anno. Ma l’impegno è stato disatteso e il vuoto normativo rimane. E ciò condiziona anche l’aftermarket, che resta sospeso in un limbo che influenza le attività e gli investimenti delle imprese.

L’Unione Europea ha pubblicato un nuovo “Studio sull’impatto dei recenti sviluppi della pubblicità digitale su privacy, editori e inserzionisti”. Questo documento ha raccolto evidenze empiriche che indicano una forte necessità di riformare le norme sulla pubblicità digitale. Secondo lo studio, infatti, lo status quo è insostenibile per gli individui, gli editori e gli inserzionisti. A conforto della tesi, viene ribadito che la pubblicità digitale – che si basa sulla raccolta di dati personali, sul tracciamento e sulla profilazione su larga scala – può avere conseguenze indesiderate sul diritto alla protezione dei dati, sulla sicurezza, sulla democrazia e perfino sull’ambiente. Per di più, viene messo in luce che le lacune dell’attuale quadro normativo potrebbero causare la persistenza di molti dei problemi esistenti. Viene, così, invocato un rafforzamento della trasparenza e dell’accountability, un aumento del controllo da parte delle persone fisiche sulle modalità di utilizzo dei loro dati personali per la pubblicità digitale e la necessità di affrontare gli ostacoli che rendono più difficile per gli inserzionisti e gli editori “conoscere il proprio pubblico”.

La piattaforma panoramica del Tate Modern di Londra viola la privacy dei suoi vicini. Così ha sentenziato la Supreme Court del Regno Unito, ribaltando la decisione della Court of Appeal. La piattaforma, inaugurata nel 2016, offre infatti non solo un panorama di Londra, ma anche una vista diretta sugli appartamenti vetrati antistanti. I facoltosi proprietari di questi immobili di lusso avevano intrapreso un’azione legale contro le “centinaia di migliaia di visitatori che guardano nelle loro case”, chiedendo un’ingiunzione che imponesse alla galleria di impedire al pubblico di osservare i loro appartamenti “delimitando” parti della piattaforma o “erigendo schermature”. Nel febbraio 2020, la Court of Appeal aveva respinto le richieste dei residenti (così come la High Court in primo grado), sostenendo che essi avrebbero piuttosto dovuto “abbassare le tende solari”. Ma la Supreme Court non ha condiviso l’orientamento dei giudici d’appello. Nella sentenza, Lord Leggatt ha affermato che la galleria panoramica, attualmente chiusa, ha lasciato ai residenti la sensazione di essere “esposti in uno zoo”, aggiungendo che “non è difficile immaginare quanto sia opprimente vivere in tali circostanze per qualsiasi persona comune”. Il caso tornerà ora alla High Court, che dovrà trovare una soluzione per i proprietari degli appartamenti.

English version

The automotive industry is calling for legislation to regulate access to vehicle data. This is how a group of ten automotive associations expressed themselves when addressing the European Commission and its president Ursula von der Leyen. Among the signatories of the letter are ACI, Aniasa (representing rental companies), Fia (author of the ‘My car, my data’ campaign), Assogomma, Adira (spare parts distributors), Aica (equipment manufacturers) and Federpneus. In particular, the automotive associations point out that vehicle data do not only include operational data (such as speed, location, maintenance or mileage), but also those relating to driver behaviour (e.g. distances travelled, driving style, personal details such as name, contact details, financial information), which are shared with the vehicle’s operating system, among other things. Already in December 2020, the European Commission had committed itself to prepare a legislative proposal on the subject, setting a deadline of one year. But the commitment was disregarded and the regulatory vacuum remains. And this also affects the aftermarket, which remains suspended in limbo, affecting the activities and investments of companies.

The European Union published a new ‘Study on the impact of recent developments in digital advertising on privacy, publishers and advertisers’. This document has gathered empirical evidence that points to a strong need for reform of digital advertising regulations. According to the study, in fact, the status quo is unsustainable for individuals, publishers and advertisers. In support of the thesis, it is reiterated that digital advertising – which is based on the collection of personal data, tracking and profiling on a large scale – can have undesirable consequences on the right to data protection, security, democracy and even the environment. What is more, it is pointed out that the shortcomings of the current legal framework could cause many of the existing problems to persist. Thus, the study calls for a strengthening of transparency and accountability, an increase in individuals’ control over how their personal data is used for digital advertising, and the need to address the obstacles that make it more difficult for advertisers and publishers to ‘know their audience’.

The viewing platform of the Tate Modern in London violates the privacy of its neighbours. So ruled the UK Supreme Court, overturning the Court of Appeal’s decision. In fact, the platform, which opened in 2016, offers not only a panorama of London, but also a direct view of the glazed flats in front of it. The wealthy owners of these luxury properties had taken legal action against the ‘hundreds of thousands of visitors looking into their homes’, seeking an injunction requiring the gallery to prevent the public from viewing their flats by ‘cordoning off’ parts of the platform or ‘erecting screens’. In February 2020, the Court of Appeal had dismissed the residents’ claims (as had the High Court in the first instance), arguing that they should rather ‘lower their solar shades’. But the Supreme Court disagreed with the direction of the appeal judges. In the ruling, Lord Leggatt said that the viewing gallery, which is currently closed, left residents with the feeling of being ‘exposed in a zoo’, adding that ‘it is not difficult to imagine how oppressive it is to live in such circumstances for any ordinary person’. The case will now return to the High Court, which will have to find a solution for the flat owners