“Il trattamento dei dati personali nell’attività investigativa” – Adempimenti e misure di sicurezza per l’investigatore nel rispetto della privacy (Editore Key)

La professione dell’investigatore privato si muove costantemente nei limiti del delicato equilibrio tra ricerca delle informazioni e tutela della privacy degli individui. Per chi svolge questo tipo di attività si rivela, così, di forte interesse strategico la conoscenza – sia teorica che operativa – del quadro giuridico concernente il trattamento dei dati personali. È questo lo scopo della monografia “Il trattamento dei dati personali nell’attività investigativa – Adempimenti e misure di sicurezza per l’investigatore nel rispetto della privacy” (Editore Key), un’opera a più mani (Andrea Appicciafuoco, Valentina Brecevich, Tommaso Grotto, Gaetano Mastropietro, Alberto Paoletti, Roberta Savella, Zakaria Sichi) a cura di Marco Martorana, avvocato, e di Luciano Tommaso Ponzi, Presidente di Federpol, con la prefazione di Guido Scorza, componente del Collegio del Garante per la protezione dei dati personali.  Nel volume si sottolinea che, per quanto riguarda la ricerca delle informazioni, le innovazioni tecnologiche degli ultimi decenni non hanno soltanto fornito sempre più sofisticati strumenti utili all’attività investigativa, ma hanno rivoluzionato le competenze necessarie per svolgere questa professione. Oggi l’investigatore privato deve essere un conoscitore esperto di varie materie, tra cui diversi settori del diritto, e, in particolare, quello della tutela dei dati personali, divenuta fondamentale, così come lo è la diffusione della cultura della privacy. Ciò rappresenta una “esigenza molto sentita” – evidenziano gli Autori – non solo con riguardo agli investigatori stessi, affinché possano svolgere le proprie mansioni nella consapevolezza della normativa vigente, ma anche dei vari operatori che possono eventualmente ritrovarsi accanto all’investigatore privato nel corso della sua attività. Nel volume, vengono affrontato gli argomenti di base relativi alla disciplina della protezione dei dati, con specifici riferimenti al contesto investigativo e delle informazioni commerciali. Inoltre, vengono dedicati dei focus specifici alla sicurezza informativa, alle nuove tecniche di raccolta di informazioni come l’OSINT (Open source intelligence) e all’attività ispettiva del Garante per la protezione dei dati personali, offrendo al lettore un quadro completo e approfondito sul tema e le indicazioni necessarie da mettere in atto nella attività professionale.

“Neuroverso” – Recensione autopromozionale 😉

Il nostro cervello è nudo, o, almeno, lo sarà presto. Ciò che fino a ieri era fantascienza, oggi è ricerca applicata. Le nostre idee, le emozioni, i pensieri, le opinioni, il contenuto del nostro cervello, incluso l’inconscio, è e sarà sempre più accessibile dall’esterno senza bisogno di interventi chirurgici, cavi o elettrodi. È la rivoluzione delle neuroscienze e delle neurotecnologie che promette cambiamenti antropologici epocali per il genere umano, più di quanto non abbia fatto l’arrivo di Internet.
Provando ad analizzare i cambiamenti in atto sul versante delle neuroscienze e neurotecnologie e a immaginarne l’impatto sulle nostre vite, sui diritti e le libertà, ho scritto “Neuroverso” (Mondadori), un testo in cui ho provato a raccontare storie straordinarie e, secondo me, esemplari della rivoluzione in atto, a riassumere qualche mia riflessione ed a delineare alcune prospettive future.
Nel libro ho cercato di non limitarmi soltanto a descrivere la pur eccezionale portata della rivoluzione tecno-scientifica in corso, ma anche a tracciare il contesto sociale, economico, politico nel quale queste tecnologie si sviluppano, immerse come sono nell’ecosistema digitale e nella società degli algoritmi.
Le neurotecnologie non rimangono infatti ancorate alla ricerca medica e biomedica cui sono state fino ad oggi relegate, ma spaziano sempre più, fino a raggiungere ambiti decisamente extraclinici grazie al proliferare dell’intelligenza artificiale e degli algoritmi che hanno contributo a consentire di decodificare le attività cerebrali.
Prova ne sia il sorgere del “consumer neuro – technologies”, diretta conseguenza dell’esondazione delle neuroscienze nel campo dei mercati di massa e delle loro molteplici applicazioni commerciali.
Come lo sono le forme, per fortuna ancora embrionali, di giustizia predittiva alla “Minority Report”, il rischio cioè che le nuove forme di neuroscienze e neurotecnologie amplifichino il rischio che qualcuno possa essere privato della sua libertà perché un algoritmo si è reso persuaso della colpa di un individuo sulla base di una “processo alle intenzioni”.
Il libro credo si ponga al crocevia tra neuroscienze, neurotecnologia, società, mercato e democrazia e tenta di proporre, senza pretese di esaustività, interrogativi da affrontare e risolvere per governare al meglio l’immersione dell’umanità nel neuroverso con particolare attenzione alle cose della privacy.
Mi interrogo sull’opportunità di raccogliere l’appello di taluni giuristi e neuroscienziati all’elaborazione e istituzionalizzazione di nuovi “neurodiritti”, o, piuttosto, di “aggiornare” i diritti che già abbiamo per evitarne un’inflazione.

“La rivoluzione informatica”, conoscenza, consapevolezza e potere nella società digitale. Il volume di Enrico Nardelli per Edizioni Themis

“La rivoluzione informatica” di Enrico Nardelli per Edizioni Themis è un libro che ha iniziato a prendere forma, come evidenzia l’autore, nel 2013, man mano che cresceva nel tempo la necessità di insegnare l’informatica. L’obiettivo del testo – che parte dai concetti base di informatica descrivendo poi l’evoluzione dell’insegnamento dell’informatica nel panorama nazionale e internazionale, tracciando l’impatto sociale dell’informatica fornendo una visione politica (nel senso aristotelico del termine) della società digitale – è quello di far comprendere l’influenza della tecnologia digitale sulle persone e sulla società in generale e cosa si dovrebbe fare e si sta facendo rispetto ad essa. Secondo l’Autore, professore ordinario di Informatica presso l’Università di “Tor Vergata”, è necessario che l’informatica come scienza sia insegna a scuola fin dai primi anni, convinto della come la scienza informatica sia componente costitutiva dell’istruzione di qualunque cittadino. L’autore si sofferma anche sulle conseguenze che la pandemia da Covid 19 ha impresso ai comportamenti sociali di gran parte dell’Umanità e sul ruolo che le tecnologie digitali hanno giocato nel tenere sotto controllo il contagio. Accanto all’attenta analisi dell’evoluzione e del ruolo dell’informatica come dell’importanza per il sistema Paese di dotarsi di della capacità di controllare e governare le infrastrutture e i dati digitali, l’Autore disegna anche delle soluzioni per attuare uno sviluppo più equilibrato della società digitale ricordando ad esempio la via del “cooperativismo delle piattaforme”, espressione resa popolare da Trebor Sholz, professore dell’Università The News School di New Yord dove dirige l’Istitutto per l’Economia Digitale Cooperativa e il Consorzio per il cooperativismo delle Piattaforme. Una locuzione quella di “cooperativismo delle piattaforme” utilizzata anche in contrapposizione a “piattaforme estrattive” cioè quei sistemi attarverso cui le big tech estraggono, “il profitto dalle interazioni tra utenti finali e lavoratori che attraverso di essere sono messi in contatto”. Un approccio questo tramite il quale la proprietà e la guida del processo di sviluppo di una piattaforma digitale – continua l’Autore richiamando Trebors – “vengono attuate in modo coordinato da parte dei loro sviluppatori informatici e della forza lavoro che attraverso di essere si relazione all’utenza finale”. In tale modo, si possono offrire servizi convenienti per gli utenti, sfruttando la relazione fornitore cliente ed anche il vantaggio sociale di evitare lo sfruttamento della forza lavoro e il guadagno nella mani di pochissimi. L’Autore osserva infine come un tema non secondario sia quello del rispetto delle comunità locali, tema trascurato nella crescita delle piattaforme ma elemento fondamentale invece per il nostro benessere e per uno sviluppo economico e sociale equilibrato.

“Cybersecurity e Cyberwarfare”- Il volume di Michele Iaselli e Giovanni Caria

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Cybersecurity e Cyberwarfare” per EPC editore è il recente volume uscito che vede come curatori e in parte anche autori Michele Iaselli e Giovanni Battista Caria assieme ad altri esperti di sicurezza informatica e giuristi specializzati nel settore. Gli eventi bellici che coinvolgono direttamente la Russia e l’Ucraina, ma indirettamente l’intero nostro pianeta per le inevitabili conseguenze politiche, economiche e sociali hanno evidenziato – affermano gli autori – la grande rilevanza che ormai sta assumendo la c.d. cyberwar da intendersi come l’utilizzo di computer e di reti per attaccare o difendersi nel cyberspazio. La cyberwar è tipica della terza rivoluzione industriale (o postindustriale), come la guerra elettronica lo è stata della seconda. Possiede aspetti tecnico-operativi sia offensivi che difensivi e viene utilizzata sia in tempo di pace che nel corso di conflitti armati. Dal punto di vista offensivo, l’attacco cibernetico può utilizzare diverse tecniche e tattiche e proporsi diversi obiettivi: intercettazione di dati; inabilitazione delle reti e degli equipaggiamenti informatici nemici; attacco alle infrastrutture critiche (elettricità, gasdotti e oleodotti, rete delle telecomunicazioni commerciali e finanziarie, trasporti). Le modalità di attuazione degli attacchi vanno dal superamento dei sistemi protettivi e dall’entrata nelle reti informative e nelle banche dati, con finalità varie (dall’acquisizione di informazioni al vandalismo di hacker individuali), all’attacco massiccio condotto da unità specializzate, alla diffusione di virus informatici o di worm, per neutralizzare reti, sistemi d’arma o di comando, di controllo e di comunicazione. Molti preferiscono parlare di cyberwarfare per esprimere meglio un concetto equivalente al “campo di battaglia digitale”, un nuovo scenario nel quale la guerra fra Stati si sposta dal piano reale a quello virtuale. Usare il termine “virtuale” non deve però trarre in inganno, sottolineano ancora gli autori nell’introduzione. Nel mondo odierno praticamente tutti gli elementi della nostra vita dipendono da una qualche forma di strumento digitale: dai trasporti alla produzione dell’energia, dalla sanità alla comunicazione, dal lavoro allo svago. Attaccare le nostre infrastrutture digitali, impedendogli di funzionare correttamente, significa allora attaccare le nostre infrastrutture reali, in modo non dissimile a un attacco terroristico. Non stupisce quindi che la guerra si stia trasferendo sempre più su questo nuovo piano, creando scenari del tutto nuovi che richiedono conoscenze precise e misure adeguate alla minaccia. Potremo dire che la guerra riflette i cambiamenti storici, le sue trasformazioni culturali e tecnologiche. La nuova frontiera dei conflitti fra stati è appunto il cyberwarfare.  L’obiettivo di questo libro è quindi proprio quello di fornire un quadro generale su tutti gli aspetti di natura tecnica, giuridica e sociale sottolineati e strettamente collegati alla cyberwarfare. Il testo è arricchito con da diverse testimonianze dirette di esperti informatici e giuristi che analizzano in concreto casi reali legati anche al conflitto Russia-Ucraina.

“L’equivoco della privacy. Persona vs dato personale”

“L’equivoco della privacy. Persona vs dato personale” è il recente volume di Vincenzo Ricciuto pubblicato per le Edizioni Scientifiche Italiane. Nei densi e stimolanti capitoli: “Persona e dato personale. Dalle endiadi all’equivoco nell’idea di privacy”, “Oltre l’equivoco. La patrimonializzazione del dato personale”, “Il dato personale nello scambio economico”, l’Autore offre una disamina del “romanzo della privacy” attraverso l’articolata e dibattuta storia della privacy non solo sul piano della cultura giuridica ma «sin dal suo nascere e che ha visto momenti evolutivi assai problematici, approdando talora a definizioni contenutistiche e lessicali di sicura originalità, muovendo dal problematico (apparente) epilogo segnato dal passaggio, concettuale e semantico, della esperienza italiana del diritto alla riservatezza alla figura della privacy nata e sviluppatasi nell’esperienza anglo-americana». Dall’idea di privacy come «zerorelationship» di Shils all’adattamento alle nuove esigenze della realtà sociale ed economica, seguendo le «mutevoli dimensioni dell’individuo nel contesto sociale, nel rapido affermarsi delle innovazioni nel campo scientifico-tecnologico, in relazione, soprattutto, ai mezzi di comunicazione di massa». Dall’ “assault on privacy” di Miller a fronte dell’erompere delle nuove tecnologie, della pervasività delle banche dati, a quella definizione di riservatezza che Stefano Rodotà chiarirà come essere non solo «il diritto di respingere le invasioni della sfera privata, ma soprattutto il diritto di controllare il flusso di informazioni riguardanti un determinato soggetto». In tale lungo e articolato quadro di ridefinizione, è con l’economia digitale che il dato acquisisce con nettezza un valore economico la cui circolazione – secondo Ricciuto- «è un fenomeno (soprattutto) del diritto delle obbligazioni e del contratto, affidato alle sue regole, alla questione della sua regolazione in quanto scambio economico di mercato». In questa chiave di lettura, Ricciuto individua e scioglie l’equivoco concettuale e semantico per cui a fronte del fenomeno del trattamento dei dati personali «che per suo contenuto e definizione normativa stessa si configura per essere[…]un’attività economica – la prospettiva di tutela dell’individuo è rimasta ancorata al solo ed esclusivo ambito del diritto assoluto, completamente trascurandosi non solo la lettura patrimonialistica del dato ma anche il regime di circolazione dello stesso». La timidezza del legislatore del 2003 – ricorda ancora Ricciuto – è stata superata dal Regolamento generale del 2016 che ha posto la libera circolazione dei dati personali tra i propri fini stabilendo all’articolo 1 che «la protezione delle persone fisiche con riguardo al trattamento dei dati personali non può essere motivo per limitare la libera circolazione dei loro dati. In questo caso, spostando decisamente l’asse dalla persona al dato personale».

Giornalisti Robot, il libro

Giornalisti robot, un libro di Aldo Fontanarosa

Una delle tante novità, tutte per la verità stimolanti, del mio nuovo lavoro è che ricevo libri, tanti libri su materie tanto diverse le une dalle altre quanto è ampio è lo spettro con il quale ci si confronta quando ci si occupa di privacy in Autorità.

E’ da qui che è nata l’idea di proporvi, di tanto in tanto, un caffè anche attorno al titolo di un libro, un invito alla lettura quando secondo me ne vale la pena, cercando di evitare di proporre perdite di tempo.

E mi fa piacere che il primo caffè con un libro sul tavolo accanto al PC sia Giornalisti Robot di Aldo Fontanarosa, giornalista, con trent’anni a La Repubblica con uno sguardo particolare sempre puntato sul futuro.

Sono tempi duri per i redattori umani che scrivono lanci di agenzia essenziali e basati in maniera importante su dati e numeri e tempi altrettanto duri per i cronisti che scrivono articoli sui conti trimestrali delle aziende o sui loro bilanci, sui pronostici del giorno della vigilia delle partite di calcio o, anche, sui risultati elettorali di piccoli Comuni.

Algoritmi e intelligenza artificiale sono pronti già oggi a sostituirli in redazione a tutto vantaggio dei bilanci degli editori e senza alcun significativo sacrificio in termini di qualità del contributo all’informazione.

E se lo dice e, anzi, lo scrive un giornalista umano di quelli che ha consumato per trent’anni le suole delle scarpe, forse, questa volta possiamo crederci.

E d’altra parte Fontanarosa nel suo libro Giornalisti Robot non chiede a nessuno atti di fede ma documenta ogni tesi su fatti e esempi concreti, dati, elementi che la supportano secondo il più rigoroso metodo giornalistico.

Lo scenario dei robot che scrivono al posto dei giornalisti umani, almeno per ora contributi a basso valore aggiunto creativo e a alto contenuto di dati è già con noi e si sta imponendo in maniera tanto efficace che, probabilmente, i lettori non se ne sono neppure accorti.

Ma il libro è lontano dal rappresentare un elogio funebre del giornalismo degli uomini scritto proprio da un giornalista.

Ci sono spazi – e Fontanarosa li fotografa con la stessa lucidità con la quale fotografa quelli che scompaiono – che restano, per ora appannaggio esclusivo degli umani, almeno se si tiene alla qualità dell’informazione.

Inchieste, investigazioni giornalistiche, documentari multimediali, prodotti editoriali avanzati, ricostruzioni complesse continuano a richiedere giornalisti in carne ed ossa, competenze, esperienze, idee, fiuto e passione.

E qui i robot non sono ancora arrivati e quando arrivano vengono surclassati dagli umani.

Per fortuna viene da aggiungere.

Contenuti a parte, tanti e stimolanti, il libro di Fontanarosa è godibilissimo, cosa da un week end di pioggia.

Trecento pagine costruite con l’arguzia di chi sa cosa il lettore ama leggere ma anche come ama leggerlo.

I fatti davanti alle opinioni e, anzi, solo i fatti che impongono però ai lettori di trarre pagina dopo pagina conclusioni importanti e significative.

Lo consiglio con serenità, credo che piacerà ai più.

A quanti si occupano di informazione perché racconta un futuro che è già presente e a chi si interroga sulle potenzialità dell’intelligenza artificiale perché se i robot sono entrati in redazione, ci sono davvero poche sedie che, prima o poi, non occuperanno e questo non deve preoccuparci ma spingerci a concentrarci su tutto quello che – e per fortuna è tantissimo – i robot non potranno fare – almeno fin dove arriviamo a vedere oggi – al posto nostro.