Scuola o genitori, chi educa i ragazzi sui social?

aggiornato il 6 Aprile 20216 Aprile 2021

Lei si chiama Brandi Levy e nel 2017 era una quattordicenne, matricola in una scuola di Mahanoy City, un piccolo comune di meno di cinque mila abitanti in Pennsylvania con un sogno nel cassetto, lo stesso di tante sue coetanee su quella sponda dell’oceano: indossare la divisa da cheerleader della squadra di softball della scuola.

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È il luogo non-luogo nel quale condividere quello che faccio, quello che scrivo, quello che penso ma, soprattutto, per stimolare un confronto e un dialogo con addetti ai lavori e non, raccogliere spunti di riflessione, critiche (auspicabilmente costruttive) e commenti su come provare a fare meglio il mio lavoro.

Un luogo volutamente informale, un mezzo attraverso il quale provare, giorno dopo giorno, a far tracimare il diritto alla privacy fuori dal circolo di chi si occupa di privacy per mestiere e portare uno dei diritti più preziosi di tutti i tempi tra le persone che non lo conoscono perché, come ci disse Umberto Eco, il nostro lavoro – quello delle autorità di protezione dei dati personali – è tanto quello di far conoscere la privacy a chi non la conosce tanto quello di difendere la privacy di chi la conoscere e ci chiede tutela.