cosedagarante

Safer Internet Day, per un’agenda digitale dei più piccoli

Si è appena conclusa la ventesima edizione del Safer Internet Day. Come molti di coloro che erano presenti oggi, ho avuto la fortuna e il privilegio di partecipare a decine di incontri come questo, nella più parte dei casi organizzati e promossi da Telefono Azzurro e dall’instancabile lavoro di Ernesto Caffo.

Ma ho la sfortuna di aver sentito, nel corso di questi incontri, troppo spesso ripetere le stesse considerazioni, assumere gli stessi impegni solenni, registrare la stessa condivisione di intenti. Poi, però, il giorno dopo, le settimane successive, i mesi seguenti, gli anni a venire restava tutto invariato. Internet e l’ecosistema digitale hanno continuato così a crescere e risucchiare i più giovani in maniera incontrollata e incontrollabile come le periferie di alcune nostre città.

Le regole, sin qui, diciamocelo onestamente, le ha dettate il mercato e per il mercato, i suoi leader all’insegna della massimizzazione dei profitti. Intendiamoci hanno semplicemente colmato dei vuoti, delle aporie legislative, dei silenzi dei nostri decisori pubblici. I mercati, insomma, hanno fatto i mercati. Sono i Governi e i Parlamenti che, forse, hanno fatto meno di quanto avrebbero potuto e che non hanno considerato per davvero il tema dei bambini nella dimensione digitale una priorità.

Sarebbe bello se la ventesima edizione del Safer Internet Day, quella che abbiamo appena celebrato, fosse quella in cui, tutti insieme, passiamo dalle parole ai fatti. E farlo non è difficile ma è davvero solo questione di buona volontà. Oggi ho provato a mettere sul tavolo solo tre punti di quella che mi piacerebbe fosse l’agenda digitale dei più piccoli.

Il primo.
La ricerca di SWG e Italian Tech suggerisce che il 75% dei nostri bambini inizia a usare lo smartphone tra i 6 e i 9 anni e il 96% tra i 10 e i 13. Ma per farci cosa se la più parte dei servizi, delle app e delle piattaforme digitali sono riservati – o, almeno, dichiarano di essere riservati – a chi ha almeno 13 anni? Una risposta ce la offre, forse, una recente ricerca della Ofcom, l’Autorità Garante per le comunicazioni britannica: un bambino su tre, online, mente sulla sua età, per entrare in piattaforme e usare app e servizi che non dovrebbe utilizzare. Questo significa che piccole e grandi piattaforme digitali riservate a un pubblico quasi mai più giovane di tredici anni e talvolta non più giovane di diciotto, sono letteralmente gremite di bambini che non dovrebbero esserci. Gravi, gravissime le conseguenze che possono travolgere i più piccoli quando si ritrovano a usare servizi non disegnati, progettati e sviluppati per loro.
Le soluzioni per verificare per davvero l’età – e non l’identità – degli utenti che usano i servizi digitali ormai ci sono e visto che i gestori delle piattaforme continuano a tergiversare rispetto alla loro adozione spontanea, probabilmente, tocca al decisore pubblico ordinare loro di farlo.
Lasciatemelo dire in maniera inequivoca e che non si presti a nessun fraintendimento: io non credo che l’agenda digitale dei bambini possa o debba essere un’agenda contro le big tech. A me piace pensare che possa trattarsi di un’agenda condivisa con le big tech e per i bambini e, quindi, continuo ad auspicare che i fornitori di servizi digitali si facciano spontaneamente carico di risolvere il problema. E però una certezza ce l’ho: il tempo per farlo è ora e non possiamo aspettare la prossima tragedia, la prossima vittima-bambina.

Il secondo.
Nella dimensione digitale, sempre più spesso, i bambini pagano in dati personali servizi, contenuti – specie video – e videogiochi, impegnandosi a cedere i loro dati personali al gestore della piattaforma o del servizio, in cambio della possibilità di comunicare, giocare, condividere contenuti. Non se ne accorgono, non ne hanno alcuna consapevolezza ma, nella sostanza, firmano un contratto con il quale barattano un po’ di loro stessi con qualche ora di spensieratezza, gioco o informazione. I contratti in questione, secondo la legge italiana, sono, per ora, semplicemente annullabili ovvero destinati a perdere di efficacia solo in caso di contestazione da parte del bambino per il tramite dei suoi genitori, davanti a un giudice. E, ovviamente, nessuno ha mai investito tempo, soldi e pazienza per ottenere l’annullamento di un simile contratto. Ma si tratta di contratti che i bambini non hanno la capacità di concludere perché non sono in grado di apprezzare quanto vale ciò a cui rinunciano – una porzione più o meno rilevante della loro identità personale – e quanto vale ciò che acquistano.
Anche in questo caso, considerato che i gestori delle grandi piattaforme non sembrano, per il momento, intenzionati a rinunciare a trattare i dati personali dei più piccoli sulla base di un contratto che non dovrebbero neppure proporre ai più piccoli di firmare, probabilmente, è arrivato il momento che siano Governo e Parlamento a mettere nero su bianco, per legge, che i contratti con i quali bambini e adolescenti barattano dati personali contro servizi digitali sono privi di ogni efficacia e che, quindi, i dati dei più piccoli non possono essere trattati dai gestori delle piattaforme sulla base di questi contratti.

Il terzo.
Viviamo in una stagione della vita del mondo nella quale il software e le interfacce contano più delle leggi e nella quale tutti – grandi e bambini – facciamo quello che software e interfacce ci rendono più facile fare. Serve, è urgente, è indispensabile che le grandi piattaforme, le app, i servizi digitali rendano immediatamente accessibile e utilizzabile, per i più piccoli, un pulsante – bello, grande e colorato come quelli con i quali si viene invitati a iniziare a usare un’app o un servizio – con il quale chiedere aiuto. In Italia abbiamo il numero di emergenza bambini, gestito, per conto del Governo, da Telefono Azzurro.
Ecco, basterebbe che quel numero fosse contattabile dai più piccoli da tutte le principali piattaforme, app e servizi digitali, semplicemente cliccando o tappando su un pulsante e sarebbe sostanzialmente giusto che gli oneri connessi alla gestione di questo servizio gravassero su chi, grazie a quelle piattaforme fa, del tutto legittimamente fino a prova contraria, business.
Si può fare tanto, dalla parte dei bambini, davvero con poco e la distanza tra farlo e non farlo è solo un po’ di buona volontà. Consegniamo alla storia questo Safer Internet Day come quello nel quale si è chiusa la stagione del dire e del promettere e si è aperta quella del fare, dalla parte giusta per definizione, quella dei bambini.


L’evento è stato anche l’occasione per dare voce ai giovani collegati da Binario F e per presentare il cortometraggio “Buca la Bolla”, realizzato dalla casa di produzione Gruppo Alcuni e nato a partire dal progetto “Ciak Junior – il cinema fatto dai ragazzi” finanziato dal Piano nazionale Cinema e Immagini per la Scuola promosso da Ministero della Cultura e Ministero dell’Istruzione e del Merito. Il cortometraggio, scritto e interpretato dai ragazzi della consulta provinciale di Treviso, tratta le problematiche relative a un uso non responsabile del web.