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Whatsapp a Apple: l’operazione privacy trasparente è anti-competitiva

Se qualcuno dubitasse ancora delle intersezioni ormai quotidiane tra protezione dei dati personali e antitrust, c’è una storia che si sta consumando in questi giorni capace di fugare ogni dubbio.

Dati, tanti dati, fortissimamente dati.

Sono il bene più scambiato sui mercati globali, quello sul quale si reggono imperi economici dei quali è persino difficile contare gli zeri nei rendiconti trimestrali.

Nessuna sorpresa, dunque, che sempre più spesso siano propri i dati e la disciplina che ne governa il trattamento a rappresentare materia di scontro e confronto concorrenziale e anticoncorrenziale – o presunto tale – tra superpotenze dei mercati tecnologici.

Eccone una tra le tante conferme.

Non la più significativa ma una vicenda che rende l’idea.

Nei mesi scorsi Apple ha deciso che chiunque voglia distribuire un’app attraverso il suo Apple Store dovrà caricare sui suoi server e rendere accessibile agli utenti prima del download dell’app una manciata di informazioni – ma una manciata per davvero – relative a quali categorie di dati l’app in questione è destinata a trattare e alle finalità del trattamento

Tutto in un’etichetta piccola, standard e di immediata comprensione capace di riassumere in una manciata di caratteri ciò che per un utente è più importante sapere sotto il profilo della privacy prima di decidere di scaricare un’app.

Nelle scorse ore, a ridosso del lancio dell’iniziativa decollata ieri, Whatsapp, senza andare tanto per il sottile, ha contestato a Apple che l’iniziativa sarebbe anti-competitiva perché il colosso di Cupertino mentre esigerebbe da tutti gli sviluppatori di app distribuite attraverso il proprio store questo grande sforzo di sintesi e trasparenza non farebbe altrettanto in relazione alle proprie app, nativamente installate sui suoi smartphone e, dunque, che non richiedono il download.

Tanto per fare un esempio mentre gli utenti potrebbero capire al volo come whatsapp tratta i loro dati quando usano l’app, non altrettanto potrebbero fare quando usano l’app messaggi di casa Apple.

Questo, secondo Whatsapp, falserebbe la concorrenza perché, anche se la società controllata da Facebook non lo dice così chiaramente, gli utenti dell’Apple store potrebbero essere indotti a pensare che Whatsapp tratti più dati di Apple quando mette a disposizione un servizio di messaggistica e, quindi, trovare preferibili i servizi della seconda in danno della prima.

Da Cupertino, Apple ha immediatamente risposto che le regole varranno per tutte le app destinate a girare nell’ecosistema Apple e che, quindi, anche sulle proprie app verrà appiccicata la stessa etichetta solo che, non essendo le app disponibili per il download sull’Apple Store in quanto pre-installate, l’etichetta sarà visibile sul proprio sito internet.

Ma non basta perché Whatsapp ha anche contestato a Apple che il contenuto delle etichette che ha appena iniziato a richiedere a tutti gli sviluppatori di appiccicare sulle app in distribuzione non renderebbe giustizia di tutte le caratteristiche che servirebbero davvero agli utenti per valutare il livello di sicurezza, lato privacy di un’app.

L’esempio di Whatsapp, in questo caso, è la circostanza che la sua app di messaggistica userebbe soluzioni di crittografia capaci di tenere lontano dal contenuto dei messaggi persino le forze dell’ordine ma, questa informazione, non troverebbe posto nelle etichette elaborate da Apple.

Insomma siamo allo scontro, una battaglia sulla concorrenza e sulla pretesa concorrenza sleale nella quale il campo di battaglia è la trasparenza con la quale si propone agli utenti una sintesi della celeberrima info-privacy.

Dispiace per i due contendenti come dispiace per i contendenti di qualsiasi scontro ma, tutto sommato, non tutti i mali vengono per nuocere perché, questa battaglia, potrebbe innescare una competizione virtuosa a chi rende più chiara per davvero la propria informativa.